Rifiuti Zero
Le 4R del Rifiuti Zero:
Riduzione, Riuso, Riciclo e Responsabilità. (Perché adottare Rifiuti Zero ? articolo completo qui)
Secondo il rapporto “Wasting and Recycling in the United States 2000”, lavorare una tonnellata di rifiuti, quindi cernita e lavorazione dei materiali riciclabili produrrebbe 10 volte i posti di lavoro del trattamento in discarica o con inceneritore.[19] Il rapporto aggiunge che ogni step di riciclaggio significa più posti di lavoro per la comunità locale, più business per imprese in forniture e servizi e più soldi in circolazione per l’economia locale anche a seguito del pagamento delle imposte.
Come organizzare un programma rifiuti zero:
Una massa di rifiuti solidi urbani è composta da : Umido + Altro
Se scomponiamo “Altro” otteniamo:
1. Materiale Riciclabile
2. Materiale Riutilizzabile
3. Residuo
La prima cosa da fare è ovviamente “selezionare” e questo deve essere fatto in prima battuta dai cittadini (informati precedentemente su come effettuare la divisione) e controllato attraverso il ritiro porta a porta.
Per selezionare occorre classificare i materiali. Si può fare riferimento alle 12 categorie Master individuate in seno al Solid Wast Managment Board del West Virginia redatto da Urban Ore
1. 5% merci riutilizzabili
2. 25% Carta
3. 5% Metalli
4. 5% Vetro
5. 7% Polimeri
6. 3% Tessile
7. 2% Sostanze Chimiche
8. 5% Materie putrescibili
9. 10% Legno
10. 5% Ceramica
11. 3% Terra
12. 25% Residui Vegetali
Nello schema sotto "l'universo del riciclo"
La parte del leone la gioca l’informazione/formazione per questo devono necessariamente essere svolte delle sedute informative per quartiere, nelle scuole e attraverso la diffusione di materiale informativo preferibilmente per via telematica.
La parte del leone la gioca l’informazione/formazione per questo devono necessariamente essere svolte delle sedute informative per quartiere, nelle scuole e attraverso la diffusione di materiale informativo preferibilmente per via telematica.
L’Umido/Organico
Il primo materiale da selezionare con cura e l’umido da destinare in un centro di compostaggio[20], valorizzando così una materia prima che andrebbe viceversa persa.
Si può pensare ad un accordo con i centri di compostaggio che preveda il versamento del materia prima con il contraccambio del minor prezzo sull’acquisto del prodotto finito.
Non so se funzionano ma anche se non funzionassero si può pensare al compostaggio domestico con acquisto a carico dei cittadini sotto forma di GAS (Gruppo di acquisto solidale - per ottener il miglio prezzo possibile) di opportune compostiere eludendo le difficoltose capacità di spesa dei comuni e prevedendo il rimborso della spesa a seguito del minor versamento in discarica, considerando appunto che l’umido costituisce circa il 30% dei rifiuti solidi urbani non mi sembra una “mission impossible”. Si può ri-utilizzare in proprio, regalare, barattare o addirittura vendere.
Ci sono poi diverse esperienze in Italia che raccontano di laboratori sperimentali nelle scuole con il doppio vantaggio di educare veramente i nostri piccoli mettendoli in prima linea nella comprensione e nella risoluzione dei problemi, un progetto per il futuro da esempio per gli adulti perché statene certi i bambini si divertono e insegnano più di quanto le nostre menti rigorosamente spente riescano ad immaginare.
Cosa può essere destinato al compostaggio ?[22]
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Cosa non dobbiamo buttare nella compostiera?[23]
- grassi ed oli vegetali ed animali
- prodotti caseari
- feci di animali domestici carnivori (cani e gatti)
- carta patinata a colori
- pezzi di legno trattato con vernici o preservanti
Riciclaggio
Il riciclaggio a mio parere può considerarsi il primo punto per una politica di risparmio energetico, che c’entra il risparmio energetico, il fabbisogno energetico nazionale con il rifiuto?
Semplice, il materiale che selezioniamo e inviamo al centro di riciclaggio si avvia per essere trattato(preferibilmente meccanicamente) ed essere re-inserito nei cicli produttivi circa a metà della normale catena di produzione, saltando tutti i passaggi dall’estrazione della materia prima ai trattamenti necessari con conseguenti trasporti, risparmiando madre natura ed evitando che le corporazioni internazionali continuino con il nostro ausilio a soggiogare intere nazioni del terzo mondo.
Gli imballaggi in primis si fregano circa il 40% del peso totale dei rifiuti solidi urbani, tra questi carta e cartone circa il 24%.
“Con il riciclo di una tonnellata di carta e cartone si evitano emissioni di CO2 in atmosfera per circa 210 kg di CO2eq pari al saldo tra le emissioni generate nella produzione di carta riciclata e le emissioni che sarebbero state generate utilizzando fibre vergini”[24] che tra l’altro costerebbe la vita a 2,0 - 2,5 tonnellate di legname.
Anche qui esistono già le strutture, basta alzare la cornetta, prendere un appuntamento, siglare un accordo e il gioco è fatto. L’interlocutore in questo caso è il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli imballaggi a base cellulosica(COMIECO). I cittadini faranno il resto.
Il resto degli imballi andranno agli altri consorzi: CO.RE.PLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica), CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), Rilegno (Consorzio Naz.le per il Recupero e il Riciclaggio degli Imballaggi di Legno), Consorzio Imballaggi Acciaio, Consorzio Imballaggi Alluminio e con tutti sono previste delle convenzione che più o meno recitano “ai comuni viene riconosciuto un contributo economico particolarmente interessante a cui si va ad aggiungere un ulteriore beneficio economico e ambientale derivante dal mancato conferimento in discarica”[25]
Possiamo anche suddividere l’onere della suddivisione dei materiali tra cittadini, imprese e un centro stile Ecopunto dove i cittadini portano il rifiuto, il centro termina la seleziona, lo pesa, accredita un punteggio al cittadino il quale al raggiungimento di un tot riceve in cambio un premio possibilmente prodotto sul territorio da mamme, ragazzi , artigiani, agricoltori che verranno retribuiti grazie all’introito che l’EcoPunto riceverà dai consorzi.
In questo caso ai materiali sopradescritti possiamo aggiungere il vetro che va al Consorzio Recupero Vetro.
Questo si può fare subito ed in prospettiva futura perché non richiedere i fondi per la costruzione di un centro di riciclo sul modello di Vedelago[26]? Centro di eccellenza italiano in grado di riciclare una miriade di materiali[27] che da lavoro e stimola sul territorio il rispetto dell’ambiente.
Riuso
Il riutilizzabile/riconvertibile può andare a costo praticamente zero in un “ Centro di Riuso, Riparazione e Riqualificazione” appositamente creato in loco.
All’interno di un centro di questo tipo magari creato sotto forma di cooperativa potrebbero trovare impiego diverse e svariate professionalità.
Sarti e stilisti per il riutilizzo delle stoffe. Progettisti, fabbri, falegnami e vetrai per la rimodellare complementi di arredo. Tutti coloro i quali lavorano nell’edilizia per la “decostruzione” organizzata di appartamenti e il riutilizzo del materiali. Artisti per la pittura e l’inventiva necessaria alla trasformazione di ciò che apparentemente non lo sembra. Un commercialista, un web designer, un consulente del lavoro ….
In questo campo come suggerisce il prof. Paul Connett[28] abbiamo ottimi esempi tra cui la “Miniera Urbana” di Berkeley vicino San Francisco in California che con una storia di un quarto di secolo impiega circa 30 persone con un fatturato di 3 milioni di dollari. L’azienda accetta qualsiasi cosa sia riusabile, eventualmente la lavora e la espone come fosse un supermercato, inoltre si occupa anche del recupero di materiali edilizi. Altro esempio è il “Recycling North” di Burligton nel Vermounth, 27 persone impiegate e 1 milione di dollari di fatturato pur trattandosi di una no-profit. Si distingue per addestrare e trovare lavoro a persone assistite dai servizi sociali nella riparazione di apparecchiature, dagli elettrodomestici ai pc.
Ancora un altro esempio è “Renovators Resource” di Halifax in Canada che letteralmente decostruisce uffici, edifici, alberghi … recuperandone il materiale per poi rivenderlo nello stato di fatto o ai centri di riciclo.
Alcuni spunti interessanti si possono trovare a questo indirizzo
http://blog.ilcambiamento.it/riciclando/ una rubrica curata da Carmela La Salandra. Insegnante di manualità creativa da oltre 15 anni che propone il riutilizzo di diversi oggetti, come ombrelli, zip, jeans ecc...
Responsabilità
A questo punto abbiamo riciclato, riusato e ridotto il possibile almeno a prima vista ottenendo una diminuzione di versamento in discarica/inceneritore tra il 70 e l’ 80 % .
La mia, la tua e la nostra responsabilità sta nella comprensione che
“Il mondo ha abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’ingordigia di tutti”. Gandhi
e quindi dobbiamo fare uno sforzo in più chiedendo ai produttori che << Se non si può riusare, riciclare, o compostare non devi fabbricarlo>> e quindi la nostra responsabilità sta nel non acquistare i prodotti che non rispecchiano queste caratteristiche.
La cosiddetta “Responsabilità Estesa del Produttore”, è un principio fondamentale per l’attuazione del “rifiuti Zero” ed in molte parti del mondo è legge.
Può sembrare assurdo ma non è giusto che chi inquini paghi ?
Come già detto ad oggi il 40% dei rifiuti solidi urbani (il 55% in volume) è rappresentato dagli imballaggi. Bisognerebbe introdurre il reso obbligato.
Esempio le bottiglie delle bibite: non imbottigliare in plastica ma in vetro. I consumatori pagano una piccola tassa quando comprano una bevanda e la tassa viene rimborsata quando il contenitore viene restituito, cosiddetto VAR (vuoto a rendere). È stato applicato nel South Australia nel 1993 ed è legge nel North dal 24 febbraio 2011[29] con obbiettivo la riduzione del 50% dei rifiuti in discarica entro il 2020.
Un esempio di produttore “responsabile” è Dell, il primo costruttore di elettronica a ritirare i propri prodotti per il riciclaggio in maniera gratuita a partire dal 2006.
Anche Xerox che con il 95% dei prodotti recuperati già nel 2000 aveva risparmiato 76 Miliardi di Dollari.[30]
Nella provincia canadese della Columbia Britannica è stato imposto già dal 93 ai produttori di vernici e dal 97 sono stati avviati programmi per i liquidi infiammabili, pesticidi, prodotti farmaceutici, pneumatici, olio e benzina.[31]
Se a queste attività aggiungiamo azioni come bere l’acqua dal rubinetto , produrre imballi da biomassa, spillare bibite come ad esempio il latte o i detersivi riusciamo veramente ad avvicinarci alla quota zero. Mancherà sempre quella quota per la quale non siamo stati abbastanza ostinati da chiederne l’abolizione/sostituzione o quella quota effettivamente non sostituibile. Ma il residuo sempre e comunque prima di finire in discarica dovrebbe passare dai centri di ricerca universitari per svolgere esami, raccogliere dati e proporre soluzioni. Qui si chiuderebbe il cerchio di una società, di una collettività responsabile.
Tutte le strategie qui descritte sono state già applicate e risultate funzionanti in diverse parti del mondo e manco a dirlo “l’Italia è stata tra i pionieri a livello mondiale di sistemi redditizi e rapidi di raccolta porta a porta”[32] Nel 2008 oltre 1.000 comuni italiani avevano superato il 50% di differenziata, Novara in 18 mesi ha raggiunto il 70% mentre a Treviso i 22 comuni del consorzio Priula hanno raggiunto una media del 76 % in cinque anni con 4 città al di sopra dell’80%. Villafranca di Asti è all’83%.
Un esempio di strategia “rifiuti zero” è Capannori(Lucca) che ha raggiunto l’83% di riciclata ed analizzato il restante individuando tra le categorie merceologiche rimanenti: pannolini monouso, pellami e tessuti e scarti di cucina. Ora nei supermercati si rivendono pannolini riusabili, si stanno cercando usi in loco per tessuti e pellami e migliorando le tecniche di recupero degli avanzi da cucina.
La strategia “Rifiuti Zero” coincide con la filosofia del “miglioramento continuo”, che viene applicata nelle più grande aziende del mondo con risultati ottimi ma che guardano al profitto di pochi, noi dobbiamo guardare alla salute, al rispetto dell’ambiente, al risparmio, al lavoro e alla pacifica convivenza. Il nostro indicatore deve essere il “residuo” e su quello lavorare per migliorare, ma se non si inizia subito c’è solo da peggiorare.
Altre fonti: