Rifiuti Zero: una rivoluzione a portata di mano

Il materiale di scarto non è un rifiuto finché non è rifiutato. Rifiuto è una voce verbale, non un sostantivo”  Mary Lou Derventer
Abbiamo la cattiva abitudine di trasformare tutto ciò che è risorsa in problema.
Ma se problema è allora ci deve essere la soluzione, altrimenti non è un problema ma un inganno.
Ad esempio dire che il problema dei rifiuti è non saper dove metterli è un inganno, dire che la soluzione a questo è un inceneritore è un altro inganno, ma non solo perché è una rapina dalle tasche dei cittadini ma è anche un crimine, appunto sottrazione di denaro pubblico utilizzando l’inganno e attentato alla salute pubblica.
Ma andiamo per ordine e vediamo cosa è stato fatto ed omesso e cosa invece si può fare.
La truffa del CIP6 in A3[1]
È giusto, per dovere di cronaca tornare indietro al 29 aprile 1992 quando il Comitato Interministeriale Prezzi varò un provvedimento denominato CIP6 il quale consentì l’inserimento in bolletta della luce appunto alla voce A3 una tassa quantificabile nel 7% a copertura degli incentivi statali ( a questo punto direi popolari) per la generazione di elettricità da fonti rinnovabili.
Ma ahimè in realtà a beneficiare di tali agevolazioni sono stati per oltre l’ 80% circa gli inceneritori, gentilmente chiamati talvolta termovalorizzatori, poiché nel provvedimento fu aggiunto al termine “rinnovabili” la parolaccia “e assimilate”.
<<La dizione "assimilate" fu aggiunta alla previsione originaria in sede di approvazione del provvedimento per includere fonti di vario tipo, non previste espressamente dalla normativa europea in materia.>>[2]
Sino al 2003 furono sottratti 30 miliardi di euro di cui il 92% si riversò negli inceneritori, dal 2003 al 2009 14 Miliardi di cui l’80% agli inceneritori[3].  Chi si è arricchito?
A guadagnarci furono la Sarlux, Gruppo Sarar-Moratti, l’Edison, l’Hera, L’ASM Brescia, l’AEM Milano, l’Enel, la Sorgenia,  ecc …
E a che pro ? Gli effetti nella gestione rifiuti e sulle bollette li vediamo tutti.
Per avere un termine di paragone i dati del 2006 dicono che “gli inceneritori hanno ricevuto dal GSE 1.135,9 milioni di euro contro i 223,8 del geotermico, i 202,6 dell’idroelettrico, i 195,8 dell’eolico, e gli 0,04 del solare. A questi vanno aggiunti gli incentivi forniti alle fonti “assimilate”: 2179,8 milioni ai rifiuti dei cicli industriali e 2181,7 ai combustibili fossili. In totale su 6119,8 milioni di euro versati dallo Stato come “contributo alle fonti rinnovabili di energia”, solo 622 milioni sono andati a solare, eolico, geotermico e idroelettrico, pari a poco più del 10% (fonte GSE FISE Assoambiente). Secondo quanto riferito nel rapporto annuale dell’Autorità per energia elettrica e gas (5 luglio 2007) la quota delle fonti “assimilate” è in continuo aumento. I maggiori beneficiari sono stati l’ENEL, l’Edison, l’ENI, l’ASM di Brescia (ora A2A dopo la fusione con la AEM), l’ACEA Electrabel, l’EGL Italia, la Sorgenia e la Modula.”[4]
Con il decreto Bersani del 99 vennero introdotti i “certificati verdi”[5] che pur mantenendo in vigore il provvedimento CIP6  continuano a elargire anche se in percentuale minore fondi agli inceneritori, nel 2003 ottennero 44,5 Milioni, il 15,6% del totale[6]. Si badi bene che per il CIP6 si parla di miliardi qui di milioni che sono comunque tanti.
In definitiva dal 92 ad oggi nessuno della classe dirigente ha fatto quanto necessario per modificare l’andazzo.
Cosa c’è di male nell’inceneritore?
Primo punto: per funzionare ha bisogno di rifiuti quindi ci manda verso una direzione diametralmente opposta al buon senso, ovvero anziché cercare di ridurre i rifiuti ne chiediamo di più affinché possa essere prodotta energia. Ma oltre il danno arriva la beffa: il cittadino fa più rifiuti, paga più tasse, l’inceneritore produce energia elettrica, la vende al GSE che ci carica il prezzo sulla bolletta. Ma quante volte paghiamo il nostro avvelenamento?
Secondo punto: l’inceneritore va in senso anche questa volta diametralmente opposto a quanto stabilito dal protocollo di Kioto che ci chiedeva una riduzione del 13% rispetto al 2005 delle emissioni di CO2 . Difatti per produrre un Kw/h di energia abbiamo le seguenti emissioni di CO2 :

Terzo Punto: l’UE più volte ha aperto infrazioni (UE 2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51, 2005/23/29) a danno dell’Italia per il discusso CIP6.
LA commissione Europea nel 2003 si è così espressa
« La Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell'articolo 2, lettera b) della direttiva 2001/77/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (1), la frazione non biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile.>>
<<È da notare che l'Italia è l'unico Paese nel quale viene concesso l'incentivo anche alla produzione di energia elettrica tramite procedimenti quale ad esempio il carbone o la combustione dei rifiuti urbani negli inceneritori (cosiddetta termovalorizzazione).>>[7]
La finanziaria del 2008 art.30 limitava i fondi ai vecchi impianti lasciando spazio al ministero per lo sviluppo economico di derogare a ciò.
Ci pensa il super sopravvalutato e gran liquidatore di Casa Italia[8] Romano Prodi il 31/01/08 in barba all’UE (di cui è un estenuante sostenitore) e preso dall’eterna emergenza napoletana a girare i fondi per i nuovi impianti di Acerra, Santa Maria di Fossa e Salerno.
Quarto Punto: il bilancio energetico è negativo in quelli di vecchia generazione e minimo, circa il 3% in quelli di ultima generazione. Come evidenziato da Natale Belosi dell’ecoistituto di Faenza l’inceneritore di Forlì-Cenesa produce 8500 MW/h consumandone 4000 e sottraendo il gasolio e il metano utilizzato per bruciare la produzione netta di energia elettrica scende a 1200 MW/h. A questo togliamo i costi di costruzione, di trasporto e accessori ed è ovvio che il gioco non vale la candela a meno che a rifocillare le tasche dei proprietari degli inceneritori non ci pensino i contribuenti come di fatto avviene. Mi chiedo: taglieranno mai i fondi ? Ovviamente NO perché in tal caso costringerebbero gli inceneritori a chiudere bottega.
Quinto Punto: Conflitto di interessi. Ne abbiamo di due tipi, uno diretto e uno indiretto. Possiamo considerare diretto per esempio quello che si verifica tra chi possiede un inceneritore e contemporaneamente possiede un’industria. Secondario o ignobile quello dell’establishment accademico che finanziato dall’industria rassicura sulla nocività degli inceneritori o quello tra il legislatore amico/parente/socio dell’industriale con interessi nell’inceneritore. Vi diranno mai la verità ?
Prendiamo il caso del prof. Veronesi che da anni ci rassicura[9] (anche sul nucleare)ma nel contempo con la sua FONDAZIONE VERONESI organizzatrice della conferenza mondiale The Future Of Science prende i finanziamenti da Veolia (il più grande produttore di inceneritori al mondo), ACEA (Caltagirone/Casini/Rutelli/Panzarella)[10] e ENEL. Anche le sue rassicurazioni sul nucleare non sono casuali in quanto tra i finanziatori della sua fondazione ritroviamo “la Siram, del gruppo Dalkia. Nel sito della Dalkia (QUI) è ben spiegato l’azionariato: e così si scopre che Dalkia è per il il 66% di Veolia Environment e per il 34% di Edf, Electricitè de France(QUI), che gestisce il nucleare francese ed ora è già partner del nucleare italiano con Enel. In altre parole, il 34% dei finanziamenti della Siram alla fondazione Veronesi provengono dall’Edf, la stessa che Veronesi in quanto presidente dell’Agenzia dovrebbe controllare.”[11] Per non parlare delle presunte mazzette francesi … a membri del governo[12] ma questa è un’altra storia.

Sesto Punto: Rischio Salute, Lo studio di Veronesi si avvale dei dati di una ricerca sulla mortalità per cancro tra i residenti intorno a 72 inceneritori nel Regno  Unito e pur negando l’assenza di un rischio (a 10 anni circa) correlato all’esposizione da inceneritori si ammette anche in altre sedi la mancanza di modelli e tecnologia atte a darne la certezza, poiché alcuni particolati ovvero quelli sotto il PM2,5 non sono rilevabili/misurabili con accuratezza.  In verità diversi studi tutti italiani come per esempio quello di Forlì[13] e resi noti dall’ARPA in una conferenza a Torino mostrano che già per quelli sopra il PM2,5  i danni sono evidenti.
Ci possono essere altre fonti di rischio che influenzano questi dati? Certo, ma da li a dire che è sicuro ne passa acqua sotto i ponti.
Un rischio certo non opinabile sono le emissioni di diossina, una volta assorbita, non basta il resto della vita per liberarsene.
 Se no perché chiudere l’inceneritore di Maglie in Puglia? Avete visto speciali come quelli su Sara Scazzi? Ovviamente no!
Fu chiuso nel 2009 in seguito al “rapporto di prova trasmesso dall’Arpa Puglia dal quale era emerso che era stato superato di otto volte il limite di emissione di diossina”[14] , in particolare “in un azienda agricola di Cursi venne rilevata la presenza di diossina nel latte di ovini e bovini per il doppio, 12,83 picogrammi, del limite consentito dalla legge (6 picogrammi x grammo) con dispersione della carne avvelenata”.[15]
Ed è notizia recente che il TAR di Brescia ha acquisito i dati dell’inceneritore di A2A[16] perché la stessa li omette dal 2008.

L’altro rischio sono le nano-particelle non monitorate perché non previste dalla legge, inoltre “non esiste alcun filtro in grado di catturare le polveri di
dimensione inferiore a PM 2,5 e queste sono in grado di penetrare nel
nostro organismo e di raggiungere, attraverso il sangue, tutti i nostri organi.”[17]

Il prof. Stefano Montanari[18] scrive:


Il primo effetto lesivo della nanopolveri si manifesta già nel sangue dove, comportandosi come corpi estranei, determinano la produzione di fibrina e
conseguentemente la formazione di trombi, che possono causate trombosi e infarti.


Di seguito le nanopolveri posso raggiungere gli altri organi e insinuarsi persino all'interno del nucleo delle cellule. Dovete tenere presente che queste nanopolveri non sono biocompatibili né biodegradabili, si comportano da corpi estranei e possono causare alle nostre cellule soltanto danni, che si possono radurre anche in tumori. Nella fotografia che segue si nota una nanoparticella di origine antropica finita nel nucleo di un tumore del fegato.


Qualcuno vi dirà che non è dimostrato che le nanoparticelle possano causare tumori, ma se pensate che queste polveri di dimensioni infinitesimali sono spesso composte da cromo, cadmio, nichel, arsenico, amianto, mercurio ed altre sostanze notoriamente tossiche e cancerogene vi accorgerete che vi hanno detto un'altra bugia. Dovete sapere che un progetto di ricerca della Commissione Europea, che si chiama ExternE (Externalities of Energy), ha quantificato in modo molto preciso i costi dei danni all’ambiente ed alla salute derivanti da una qualunque fonte emissiva.
Questi costi, in Europa, sono attualmente valutati da 3 a 5 volte meno che negli USA, ma è importante che venga riconosciuto che una centrale elettrica, una discarica, un inceneritore, un cementificio, ecc. provocano danni, che hanno, oltre ad un costo in termini di sofferenza, anche costi economici ben quantificabili.
La società che sta costruendo l’inceneritore del Gerbido, nel 2003 ha fatto uno studio in collaborazione con il Politecnico di Torino e ha redatto una tabella dei costi in euro delle malattie previste. Malattie e costi sono stati riassunti in una tabella, che, a ragion veduta, si potrebbe definire il tariffario del cancrovalorizzatore.
Non è un macabro scherzo, è un documento del Politecnico di Torino.

E poi vi dicono che l'inceneritore sarà sicuro!
Spero di aver tolto ogni dubbio sulla scelta “inceneritore” ed adesso passiamo invece alle buone pratiche.

Le 4R del Rifiuti Zero:
Riduzione, Riuso, Riciclo e Responsabilità.
Secondo il rapporto “Wasting and Recycling in the United States 2000”, lavorare una tonnellata di rifiuti, quindi cernita e lavorazione dei materiali riciclabili produrrebbe 10 volte i posti di lavoro del trattamento in discarica o con inceneritore.[19] Il rapporto aggiunge che ogni step di riciclaggio significa più posti di lavoro per la comunità locale, più business per imprese in forniture e servizi e più soldi in circolazione per l’economia locale anche a seguito del pagamento delle imposte.
Come organizzare un programma rifiuti zero:
Una massa di rifiuti solidi urbani è composta da : Umido + Altro
Se scomponiamo “Altro” otteniamo:
1.       Materiale Riciclabile
2.      Materiale Riutilizzabile
3.      Residuo
La prima cosa da fare è ovviamente “selezionare” e questo deve essere fatto in prima battuta dai cittadini (informati precedentemente su come effettuare la divisione) e controllato attraverso il ritiro porta a porta.
Per selezionare occorre classificare i materiali. Si può fare riferimento alle 12 categorie Master individuate in seno al Solid Wast Managment Board del West Virginia redatto da Urban Ore
Conoscerle ci aiuta a trasformare i rifiuti in merci commerciabili.
1.      05% Reusable goods 5% merci riutilizzabili
2.     25% Paper 25% Carta
3.     05% Metals 5% Metalli
4.     05% Glass 5% Vetro
5.     07% Polymers 7% Polimeri
6.     03% Textiles 3% Tessile
7.     02% Chemicals 2% Sostanze Chimiche
8.    05% Putrescibles 5% Materie putrescibili
9.     10% Wood 10% Legno
10. 05% Ceramics 5% Ceramica
11.  03% Soils 3% Terra
12. 25% Plant Debris 25% Residui Vegetali
Nello schema sotto "l'universo del riciclo"


La parte del leone la gioca l’informazione/formazione per questo devono necessariamente essere svolte delle sedute informative per quartiere, nelle scuole e attraverso la diffusione di materiale informativo preferibilmente per via telematica.
L’Umido/Organico
Il primo materiale da selezionare con cura e l’umido da destinare in un centro di compostaggio[20], valorizzando così una materia prima  che andrebbe viceversa persa.
 Si può pensare ad un accordo con i centri di compostaggio che preveda il versamento del materia prima con il contraccambio del minor prezzo sull’acquisto del prodotto finito.
In Sicilia, si può vedere dalla mappa sotto, i centri esistono già[21].

Non so se funzionano ma anche se non funzionassero si può pensare al compostaggio domestico con acquisto a carico dei cittadini sotto forma di GAS (Gruppo di acquisto solidale - per ottener il miglio prezzo possibile) di opportune compostiere eludendo le difficoltose capacità di spesa dei comuni e prevedendo il rimborso della spesa a seguito del minor versamento in discarica, considerando appunto che l’umido costituisce circa il 30% dei rifiuti solidi urbani non mi sembra una “mission impossible”. Si può ri-utilizzare in proprio, regalare, barattare o addirittura vendere.
Ci sono poi diverse esperienze in Italia che raccontano di laboratori sperimentali nelle scuole con il doppio vantaggio di educare veramente i nostri piccoli mettendoli in prima linea nella comprensione e nella risoluzione dei problemi, un progetto per il futuro da esempio  per gli adulti perché statene certi i bambini si divertono e insegnano più di quanto le nostre menti rigorosamente spente riescano ad immaginare.
Cosa può essere destinato al compostaggio ?[22]
  • carni
  • ortaggi
  • fiori
  • pane
  • gusci
  • crostacei
  • ossa
  • fondi di caffè

  • canapa e lana
  • bucce di frutta (per gli agrumi piccole quantità)
  • foglie
  • pezzi di legno
  • fazzoletti di carta
  • fibre naturali come cotone di lino
  • bustine del tè
Cosa non dobbiamo buttare nella compostiera?[23]
  • grassi ed oli vegetali ed animali
  • prodotti caseari
  • feci di animali domestici carnivori (cani e gatti)
  • carta patinata a colori
  • pezzi di legno trattato con vernici o preservanti
Riciclaggio
Il riciclaggio a mio parere può considerarsi il primo punto per una politica di risparmio energetico, che c’entra il risparmio energetico, il fabbisogno energetico nazionale con il rifiuto?
Semplice, il materiale che selezioniamo e inviamo al centro di riciclaggio si avvia per essere trattato(preferibilmente meccanicamente) ed essere re-inserito nei cicli produttivi circa a metà della normale catena di produzione, saltando tutti i passaggi dall’estrazione della materia prima ai trattamenti necessari con conseguenti trasporti, risparmiando madre natura  ed evitando che le corporazioni internazionali continuino con il nostro ausilio a soggiogare intere nazioni del terzo mondo.
Gli imballaggi in primis si fregano circa il 40% del peso totale dei rifiuti solidi urbani, tra questi carta e cartone circa il 24%.
“Con il riciclo di una tonnellata di carta e cartone si evitano emissioni di CO2 in atmosfera per circa 210 kg di CO2eq pari al saldo tra le emissioni generate nella produzione di carta riciclata e le emissioni che sarebbero state generate utilizzando fibre vergini”[24] che tra l’altro costerebbe la vita a 2,0 - 2,5 tonnellate di legname.
Anche qui esistono già le strutture, basta alzare la cornetta,  prendere un appuntamento, siglare un accordo e il gioco è fatto. L’interlocutore in questo caso è il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli imballaggi a base cellulosica(COMIECO). I cittadini faranno il resto.
Il resto degli imballi andranno agli altri consorzi: CO.RE.PLA (Consorzio Nazionale per la Raccolta, il Riciclaggio e il Recupero dei Rifiuti di Imballaggi in Plastica), CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi), Rilegno (Consorzio Naz.le per il Recupero e il Riciclaggio degli Imballaggi di Legno),  Consorzio Imballaggi Acciaio, Consorzio Imballaggi Alluminio e con tutti sono previste delle convenzione che più o meno recitano “ai comuni viene riconosciuto un contributo economico particolarmente interessante a cui si va ad aggiungere un ulteriore beneficio economico e ambientale derivante dal mancato conferimento in discarica”[25]
Possiamo anche suddividere l’onere della suddivisione dei materiali tra cittadini, imprese e un centro stile Ecopunto dove i cittadini portano il rifiuto, il centro termina la seleziona, lo pesa, accredita un punteggio al cittadino il quale al raggiungimento di un tot riceve in cambio un premio possibilmente prodotto sul territorio da mamme, ragazzi , artigiani, agricoltori che verranno retribuiti grazie all’introito che l’EcoPunto riceverà dai consorzi.
In questo caso ai materiali sopradescritti possiamo aggiungere il vetro che va al Consorzio Recupero Vetro.
Questo si può fare subito ed in prospettiva futura perché non richiedere i fondi per la costruzione di un centro di riciclo sul modello di Vedelago[26]? Centro di eccellenza italiano in grado di riciclare una miriade di materiali[27] che da lavoro e stimola sul territorio il rispetto dell’ambiente.
Riuso
Il riutilizzabile/riconvertibile può andare a costo praticamente zero in un “ Centro di Riuso, Riparazione e Riqualificazione” appositamente creato in loco.
All’interno di un centro di questo tipo magari creato sotto forma di cooperativa potrebbero trovare impiego diverse e svariate professionalità.
Sarti e stilisti per il riutilizzo delle stoffe. Progettisti, fabbri, falegnami e vetrai per la rimodellare complementi di arredo. Tutti coloro i quali lavorano nell’edilizia per la “decostruzione” organizzata di appartamenti e il riutilizzo del materiali.  Artisti per la pittura e l’inventiva necessaria alla trasformazione di ciò che apparentemente non lo sembra. Un commercialista, un web designer, un consulente del lavoro ….
In questo campo come suggerisce il prof. Paul Connett[28] abbiamo ottimi esempi tra cui la “Miniera Urbana” di Berkeley vicino San Francisco in California che con una storia di un quarto di secolo impiega circa 30 persone con un fatturato di 3 milioni di dollari. L’azienda accetta qualsiasi cosa sia riusabile, eventualmente la lavora e la espone come fosse un supermercato, inoltre si occupa anche del recupero di materiali edilizi.  Altro esempio è  il “Recycling North” di Burligton nel Vermounth, 27 persone impiegate e 1 milione di dollari di fatturato pur trattandosi di una no-profit. Si distingue per addestrare e trovare lavoro a persone assistite dai servizi sociali nella riparazione di apparecchiature, dagli elettrodomestici ai pc.
Ancora un altro esempio è “Renovators Resource” di Halifax in Canada che letteralmente decostruisce uffici, edifici, alberghi … recuperandone il materiale per poi rivenderlo nello stato di fatto o ai centri di riciclo.
Alcuni spunti interessanti si possono trovare a questo indirizzo
http://blog.ilcambiamento.it/riciclando/  una rubrica curata da Carmela La Salandra. Insegnante di manualità creativa da oltre 15 anni che propone il riutilizzo di diversi oggetti, come ombrelli, zip, jeans ecc...
Responsabilità
A questo punto abbiamo riciclato, riusato e ridotto il possibile almeno a prima vista ottenendo una diminuzione di versamento in discarica/inceneritore tra il 70 e l’ 80 % .
La mia, la tua e la nostra responsabilità sta nella comprensione che
“Il mondo ha abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’ingordigia di tutti”. Gandhi
e quindi dobbiamo fare uno sforzo in più chiedendo ai produttori che << Se non si può riusare, riciclare, o compostare non devi fabbricarlo>> e quindi la nostra responsabilità sta nel non acquistare i prodotti che non rispecchiano queste caratteristiche.
La cosiddetta “Responsabilità Estesa del Produttore”, è un principio fondamentale per l’attuazione del “rifiuti Zero” ed in molte parti del mondo è legge.
Può sembrare assurdo ma non è giusto che chi inquini paghi ?
Come già detto ad oggi il 40% dei rifiuti solidi urbani (il 55% in volume) è rappresentato dagli imballaggi. Bisognerebbe introdurre il reso obbligato.
Esempio le bottiglie delle bibite: non imbottigliare in plastica ma in vetro. I consumatori pagano una piccola tassa quando comprano una bevanda e la tassa viene rimborsata quando il contenitore viene restituito, cosiddetto VAR (vuoto a rendere).  È stato applicato nel South Australia nel 1993 ed è legge nel North dal 24 febbraio 2011[29] con obbiettivo la  riduzione del 50% dei rifiuti in discarica entro il 2020.
Un esempio di produttore “responsabile” è Dell, il primo costruttore di elettronica a ritirare i propri prodotti per il riciclaggio in maniera gratuita a partire dal 2006.
Anche Xerox che con il 95% dei prodotti recuperati già nel 2000 aveva risparmiato 76 Miliardi di Dollari.[30]
Nella provincia canadese della Columbia Britannica è stato imposto già dal 93 ai produttori di vernici e dal 97 sono stati avviati programmi per i liquidi infiammabili, pesticidi, prodotti farmaceutici, pneumatici, olio e benzina.[31]
Se a queste attività aggiungiamo azioni come bere l’acqua dal rubinetto ,  produrre imballi da biomassa, spillare bibite come ad esempio il latte o i detersivi riusciamo veramente ad avvicinarci alla quota zero. Mancherà sempre quella quota per la quale non siamo stati abbastanza ostinati da chiederne l’abolizione/sostituzione o quella quota effettivamente non sostituibile. Ma il residuo sempre e comunque prima di finire in discarica dovrebbe passare dai centri di ricerca universitari per svolgere esami, raccogliere dati e proporre soluzioni. Qui si chiuderebbe il cerchio di una società, di una collettività responsabile.
Tutte le strategie qui descritte sono state già applicate e risultate funzionanti in diverse parti del mondo e manco a dirlo “l’Italia è stata tra i pionieri a livello mondiale di sistemi redditizi e rapidi di raccolta porta a porta”[32] Nel 2008 oltre 1.000 comuni italiani avevano superato il 50% di differenziata, Novara in 18 mesi ha raggiunto il 70% mentre a Treviso i 22 comuni del consorzio Priula hanno raggiunto una media del 76 % in cinque anni con 4 città al di sopra dell’80%. Villafranca di Asti è all’83%.
Un esempio di strategia “rifiuti zero” è Capannori(Lucca) che ha raggiunto l’83% di riciclata ed analizzato il restante individuando tra le categorie merceologiche rimanenti: pannolini monouso, pellami e tessuti e scarti di cucina. Ora nei supermercati si rivendono pannolini riusabili, si stanno cercando usi in loco per tessuti e pellami e migliorando le tecniche di recupero degli avanzi da cucina.
La strategia “Rifiuti Zero” coincide con la filosofia del “miglioramento continuo”,  che viene applicata nelle più grande aziende del mondo con risultati ottimi ma che guardano al profitto di pochi, noi dobbiamo guardare alla salute, al rispetto dell’ambiente, al risparmio, al lavoro e alla pacifica convivenza. Il nostro indicatore deve essere il “residuo” e su quello lavorare per migliorare, ma se non si inizia subito c’è solo da peggiorare.

Altre fonti:


[1] un provvedimento CIOPSI( Come inculare O’ popolo senza informarlo) ...invenzione personale:)
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/CIP6
[3] Rifiuto: Riduco e Riciclo - edizione Arianna Editrice a cura di Stefano Montanari
[4] http://www.educambiente.tv/Cip6.html
[5] http://it.wikipedia.org/wiki/Certificati_verdi
[6] http://www.comitatotutelavaldichiana.it/volantini/cip6.pdf
[7] http://it.wikipedia.org/wiki/CIP6
[8] http://www.movisol.org/draghi3.htm
[9] http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sito-RT/Contenuti/sezioni/ambiente_territorio/rifiuti/visualizza_asset.html_2031100837.html
[10] http://vincenzosalerno.blogspot.com/2011/06/referendum-acqua-paraculo-casini-e-gli.html
[11] http://robuz.wordpress.com/2011/05/26/i-conflitti-di-interesse/
[12] http://espresso.repubblica.it/dettaglio/allitalia-mazzette-sullatomo/2147155//0
[13] http://www.disinformazione.it/effetti_salute_inceneritori.htm
[14] http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=234712&IDCategoria=1
[15] http://www.ecoblog.it/post/8004/lecce-chiuso-linceneritore-di-maglie-troppa-diossina
[16] http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/276073__emissioni_inceneritore_il_tar_acquisisce_dati/
[17] http://www.stefanomontanari.net/sito/images/pdf/termovalorizzatori_e_bugie.pdf
[18] Stefano Montanari, bolognese di nascita (1949), laureato in Farmacia nel 1972 è autore di diversi brevetti nel campo della cardiochirurgia, della chirurgia vascolare, della pneumologia e progettista di sistemi ed apparecchiature per l’elettrofisiologia. Dal 2004 ha la direzione scientifica del laboratorio Nanodiagnostics di Modena in cui si svolgono ricerche e si offrono consulenze di altissimo livello sulle nanopatologie.
[19] Brenda A. Platt e David Morris, i benefici economici del riciclaggio (Washington, DC: Istituto per la Local Self-Reliance, febbraio 1993), p. 9. 9. 2. 2. Michael Lewis, Recycling Economic Development through Scrap-Based Manufacturing (Washington, DC: Institute for Local Self-Reliance, February, 1994). Michael Lewis, Riciclaggio Sviluppo Economico attraverso Scrap-Based Manufacturing (Washington, DC: Istituto per la Local Self-Reliance, Febbraio, 1994).
[20] http://www.regione.sicilia.it/presidenza/ucomrifiuti/leggi/decreti/dec_13b.htm
[21] http://www.arrasicilia.it/motore_web/file2.php/Compost%20Siciliaxsito.pdf?id=124&nw=1&Compost Siciliaxsito.pdf
[22] http://www.progettogea.com/gea/ambiente/riciclaggio.htm
[23] idem
[24] http://www.matrec.it/Materials/Material,mtid,3,mid,230,intLangID,1.html
[25] http://www.cial.it/raccolta-riciclo-top.shtm
[26] http://www.centroriciclo.com/
[27] http://www.centroriciclo.com/servizi/_8_f_CODICI%20CER%20AUTORIZZAZIONE%20NUOVA.pdf
[28] Professore emerito di chimica alla St. Lawrence University(Canton,NY) e ideatore della strategia rifiuti zero.
[29]http://www.bottlebill.org/legislation/world/australia.htm&usg=ALkJrhj46FbmF04ge_XN7mu2WHCBUXTRRQ
[30] Rifiuto: Riduco e Riciclo - edizione Arianna Editrice a cura di Stefano Montanari
[31] http://www.env.gov.bc.ca/epd/recycling/&usg=ALkJrhhmn0FyyrlM0gpEqFBruhwklyAnxQ
[32] Paul Connett



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